Barbara Prenka What time is it between my fingers?
29.3 — 15.5 25
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Barbara Prenka What time is it between my fingers?
29.3 — 15.5 25

 

Il ricamo, una tecnica artistica più antica del mito di Aracne, attacca. Attacca il filo del presente, del passato e del futuro. Muovendo le dita intreccia azioni e memorie e il tempo mi scorre fra le dita. Ricamo e attacco gli dèi, la filosofia, la storia, la natura, attacco la fisica. Ma in quale direzione della freccia del tempo fila l’attacco? Le equazioni di Newton, di Maxwell, di Einstein, di Heisenberg e di Schrödinger hanno come nucleo matematico l’equazione differenziale, e nulla impedisce a una equazione differenziale di rivoltarsi. Che una pietra salta di nuovo fuori dall’acqua, dopo averla lanciata dentro, non è possibile soltanto in un montaggio su tik-tok, è possibile nella realtà stessa. “E’ solo un’incapacità accidentale, per la quale non siamo ancora in grado di fare una costruzione così abile, da provocare il necessario stato di vibrazione ai bordi di un lago o ai bordi di una ciotola d’acqua, per poterci riuscire per davvero”. Così conferma David Hilbert, inventore dello spazio matematico in cui la fisica osserva e calcola ormai da più di cento anni le energie quantistiche facendo acrobazie probabili ed improbabili da saltimbanchi.[1]

Se la realtà fisica non impedisce di poter invertire la freccia del tempo, nulla impedisce nella mostra personale di Barbara Prenka in Galleria A plus A What time is it between my fingers, di evocare con le sue opere quelle vibrazioni ai bordi dei tessuti, quelle condizioni limiti matematici e fisici delle mani sui ricami, che, come suggerito da Hilbert, potrebbero non solo semplicemente invertire la freccia del tempo, ma nel caso dell’arte intrecciare passato, presente e futuro in una maniera nuova — di fare e disfare la storia e le memorie come se fossero un letto. L’artista realizza con le opere in mostra una disposizione, che collega passato presente e futuro utilizzando tecniche tramandate, come il disegno e il ricamo, ma ispirandosi contemporaneamente nelle forme e nei colori a delle pratiche sociali nuove, alla possibilità di una filosofia e di una fisica con nuove aperture e nuove domande. L’artista sembra porre persino la questione se il presente e il futuro non abbiano forse il potere di cambiare il passato.

L’intreccio della mostra trasporta il visitatore fino al letto d’infanzia di una Europa collettiva e condivisa. La geolocalizzazione di questo letto è la Jugoslavia. Per essere più precisi si trova nel Kosovo, e le coordinati temporali sono quelli della nascita dell’artista nell’anno 1990. Durante la prima guerra sul suolo Europeo combattuta dopo la fine della Seconda guerra mondiale, i centrini, i copriletti ricamati, i disegni e le parti del corredo realizzati dalla madre dell’artista, e che ornavano il letto di quella infanzia, adornano ora le mura della Galleria A plus A e dialogheranno con tutte le opere dell’artista in mostra.

Fa parte della costellazione di opere in mostra la serie di 24 disegni Remind me who I am, che si concentra sulla ripetizione metodica della stessa immagine di un letto ognuna con piccole variazioni di colore e della sua struttura, come se l’oggetto disegnato seguisse una funzione matematica ondulatoria. Questo processo di ripetizione e mutamento diventa un’occasione per il risveglio. Ogni disegno cattura uno spazio intimo, simbolo di vulnerabilità e rifugio, ma è anche allegoria di passaggio e lucidità. Nell’accostare lavori che l’artista ha realizzati negli ultimi 5 anni, a oggetti di una infanzia nel Kosovo si leggono in mostra anche le tracce di ciò che è stato forzatamente abbandonato nella fuga da un paese in guerra. Le varie forme di violenza, comprese le cancellazioni forzate di luoghi e storie, sono messe in mostra come se fossero inscritte nella stessa struttura del mondo.

Un altro progetto in mostra è Dite e re. Si tratta di un archivio fotografico di una infanzia vissuta nel Kosovo che è stato trasformato in dei veri e propri tappeti ricamati. Nella realizzazione di questi ricami, l’artista ha coinvolte le donne della sua famiglia, la madre, la nonna e le zie, che tuttora vivono nel Kosovo. Si tratta dunque della realizzazione di un’opera d’arte, che ha dato l’opportunità di condividere attivamente storie personali sull’inizio della guerra in Jugoslavia. Il processo di realizzazione prevede l’inserimento manuale di un filo alla volta in un tessuto perforato; un’antica tecnica tradizionale praticata dalle donne kosovare durante il periodo prematrimoniale, quando creavano tappeti chiamati “Jani” come parte della dote. Questi tappeti e le altre opere in mostra, collegano immagini mentali, pratiche e memorie, a una tradizione tramandata di generazione in generazione, trasformando così tutta la mostra in un viaggio nel tempo. Le opere d’arte si confrontano con oggetti originari dagli anni 80’ e 90’ provenienti dal villaggio in Kosovo dove l’artista è cresciuta, e che ora sono stati citati in galleria come testimoni della storia.

“Cè un angelo in un quadro di Klee”, così osserva anche il critico letterario e filosofo Walter Benjamin, “che vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali ed è così forte che egli non può più chiuderli. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.” “Un’incapacità accidentale” questo “progresso”, questa “tempesta”, che impedisce all’angelo della storia di tornare indietro, si potrebbe ribadire con Hilbert a Benjamin. “Un’incapacità accidentale” più propriamente storica, che puramente fisica. Un altro filosofo, Martin Heidegger, che Benjamin avversava, chiamava questo “progresso” e questa “tempesta” in maniera un po’ meno storica e con una nuance più naturalistica e antica: “la tecnica”.

La technè greca, parola europea antica, che connota arte e tecnologia al contempo, il progresso, la tecnica moderna, la tempesta, oggi viene come i quark in vari colori, “giallo”, “rosso” e “verde”, ed importa, molto meno, se vengono distribuiti con gusto naturalistico, storico, contemporaneo o antico, poiché hanno tutti una meta sola: vertono in modo permanente su Marte e costruiscono intelligenze e macchine artificiali che non riconoscono alcun limite. What time is it between my fingers, suggerisce invece un agire responsabile della fisica e delle sue applicazioni tecniche e dell’impiego delle sue risorse. Il tema della responsabilità della scienza e della fisica è anche il tema della filosofia di Karen Barad, statunitense di nascita, che ha ispirato in alcuni punti centrali la mostra personale di Barbara Prenka. La pratica e teoria sociale di Barad grava intorno al ricordo sul lancio delle due bombe atomiche sulle città di Hiroshima e Nagasaki, proprio così, come le opere di Barbara Prenka gravano intorno ad un letto d’infanzia durante la guerra in Jugoslavia. La “diffrazione-temporale”, così lo chiama Barad, è una coesistenza di passato, presente e futuro, che si influenzano reciprocamente esattamente così come quando una moltitudine di onde incontra un ostacolo sul loro percorso. Proprio così come nell’esperimento della doppia fenditura, dove una singola particella di luce può passare inosservata sia a destra che a sinistra, poiché sembra avere la capacità di essere, quando è inosservata, in due luoghi allo stesso tempo, sfidando così il concetto di non-contraddizione di Aristotele, non che ogni sviluppo della logica formale raggiunto fino ad oggi.

L’idea della mostra What time is it between my fingers è di far estendere le opere installati gli uni negli altri proprio come lo suggerisce la funzione dell’onda quantistica. “L’intra-azione”, altro concetto di Barad, osserva che i fenomeni o gli oggetti e gli esseri umani non precedono la loro interazione, non hanno una vera e propria ontologia preesistente al loro incontro, ma piuttosto gli oggetti come gli esseri viventi emergono attraverso particolari “intra-azioni”. Esseri umani, fauna e flora, come anche le entità materiali o entità discorsive non esistono separatamente e antecedente al loro incontrarsi, antecedente al loro misurarsi e osservarsi, e nel migliore dei casi, antecedente al loro imparare uno dall’altro, ma emergano soltanto attraverso le loro relazioni e sovrapposizioni. Come nel ricamo, i fili prendono senso e forma solo in relazione al tessuto e al disegno che creano insieme.

Ma così facendo sarebbe tutto troppo facile. La mostra What time is it between my fingers, non vuole risolversi in un ballo da sala della pura bellezza. Pone anche una domanda sulla disfatta di ogni letto e ogni ricamo, sulla lacerazione delle linee e il crollo delle geometrie di ogni disegno. Dove sta, quando una minuscola energia quantistica nel suo dualismo particella/onda esiste inosservata, sia a destra, che a sinistra, allo stesso tempo in luoghi diversi, dove sta, dunque in quel momento la sua forza di gravità? La Gravità è una teoria della meccanica classica, che va da Newton a Einstein, non si comporta come una energia quantistica nello spazio di Hilbert e non può, almeno nei modelli della fisica proposta ad oggi, in nessun caso, stare a destra e a sinistra allo stesso tempo. Nello spazio-tempo di Einstein la traiettoria di un proiettile o di una bomba è perfettamente calcolabile, non sta mai in due luoghi diversi allo stesso tempo, e colpisce sempre esattamente li, dove vuole colpire. Esistono, allo stato più avanzato della fisica di oggi, due modelli della realtà, che configurano la natura, entrambi esattissimi, che però, non coincidono tra di loro. La griglia geometrica-matematica di Einstein, delle cose ed energie più grandi e pesanti dell’universo, dai buchi neri e le stelle, ai pianeti, fino alle lune e i proiettili — e la griglia geometrica-matematica di Hilbert, Heisenberg, Planck, Dirac, Von Neuman e Schrödinger dove vivono le cose ed energie più piccole, dagli elettroni e fotoni fino ai quarks, sono in gran parte incompatibili, nonostante siano entrambi esattissime, praticissimi e applicabilissimi alla tecnica. Allo sviluppo tecnologico e al progresso, alla tempesta, e a gran parte degli scienziati di oggi questa contraddizione ovviamente poco importa, poiché la technè trae profitto in ogni caso. Favorisce di qua come favorisce di là.

È questa la contradizione che sta alla base del famosissimo esperimento mentale di Erwin Schrödinger, dove si lega il Microcosmo, una minuscola sostanza radioattiva, al Macrocosmo di un gatto vivente intrappolato in una camera gas. La minuscola particella ha, entro un’ora, la probabilità del 50% di decadere. E quando decade, apre, con l’aiuto di un contatore Geiger il rubinetto del gas. Se non apriamo per un’ora le porte di questa camera infernale, se non osserviamo e misuriamo lo stato della particella, la particella radioattiva in un mondo non-deterministico e probabilistico come lo è la fisica quantistica, decade e non decade allo stesso momento, sta, per così dire, a sinistra e destra nello stesso tempo, e con esso anche il contatore Geiger e la manovella del Gas. Ed è chiarissimo cosa Schrödinger voleva dire con questo esperimento mentale ormai storico.  Non voleva dire, che gatti o altri esseri viventi possono essere vivi e morti allo stesso tempo per un’ora. Non voleva dire, che manovelle del gas possono essere chiusi e aperti nello stesso momento e stare in sovrapposizione per 60 Minuti. Il 29 Novembre del 1935 Schrödinger dice in Die Naturwissenschaft, così il nome della rivista dove questo esperimento mentale appare per la prima volta, che esiste una frattura profonda nella cultura, nella filosofia e nella fisica di tutta l’umanità e che al più tardi giungendo al regno della fauna e della flora, in questo caso un gatto, questa contraddizione tra Heisenberg e Einstein, tra Heidegger e Benjamin, tra natura e storia, un gatto non la potrà più reggere. Ed è la stessa cosa che intende Einstein, quando dice con il determinismo della sua teoria della Relatività e le tradizioni di Galileo e Newton alle spalle, che la luna non esiste solo quando la osserviamo, e che Dio non gioca a dadi, perché un proiettile non esiste soltanto al momento in cui lo vediamo arrivare, ma colpisce i vedenti come colpisce i ciechi con tutta la sua forza di gravità, se non ci togliamo in tempo dalla sua traiettoria. Come nella fisica e nella filosofia così anche nell’arte molte domande rimangono dunque ancora aperte. E la domanda finale di What time is it between my fingers è: Perché un letto d’infanzia, con tutta la sua inequivocabile e monolitica forza di gravità è situato in una galleria come se fosse una zona di guerra, mentre tutte le onde smussano attorno in tutta la loro dualistica ambigua e disinvolta bellezza?

Barbara Prenka (1990, Gjakova, Kosovo) ha conseguito sia la Laurea Triennale che la Laurea Magistrale in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove ha studiato sotto la guida del Professor Carlo Di Raco.

Tra le sue mostre recenti: Covers (a cura di Zef Paci, Galleria del Ministero della Cultura del Kosovo a Prishtina, 2024), Dita e re (Centro di Documentazione del Kosovo a Prishtina, 2023), Re:nature (a cura di Sylvain Brugier, Kunstquartier Bethanien a Berlino), The Event of a Thread – Global Narratives in Textiles(a cura di Susanne Weiss, Inka Gressel e Hana Halilaj, Galleria Nazionale del Kosovo), What Do Landscapes Dream Of? (a cura di Sarah Solderer e Mara Vöcking, Biennale Gherdëina 8 in Alto Adige), Shelter Lines, (a cura di Edoardo Monti, Palazzo Monti, Brescia, 2021), Double Take, (a cura di School of Curatorial Studies di Venezia, A plus A Gallery, Venezia), Hôtel Dieu (A plus A Gallery, Venezia, 2023), Where Touch Speaks Louder (a cura di Eva Comuzzi, Marina Bastianello Gallery, Mestre-Venezia, 2022), Venice Time Case (a cura di Luca Massimo Barbero), For Some Bags Under the Eyes (a cura di Romain Sarrot, Sans Titre, Parigi, 2021), Pesi Massimi ( a cura di Fondazione Malutta e Augusto Maurandi, Spazio Punch, Venezia)

È stata vincitrice del Premio Euromobil Under 30 ad ArteFiera Bologna (2015) e il Premio per l’Arte Emergente al Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee (2014) e del Combat Prize nella sezione pittura a Livorno (2014).

Barbara Prenka vive e lavora tra Venezia, Bolzano e Berlino

[1] David Hilbert, Natur und Mathematisches Erkennen. Ciclo di Lezioni tenuti tra il 1919 e il 1920. ed. Basel, Boston, Berlin, Birkhäuser 1992

 

 

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What time is it between my fingers

 

Embroidery, an ancient artistic technique since the myth of Arachne, attack(h)s.[i] It attack(h)s the thread of the present, the past and the future. As I move my fingers, it weaves actions and memories, and time flows between my fingers. I embroider and attack(h) the gods, philosophy, history, nature, I attack(h) physics. But in which direction flows the arrow of time? Newton’s, Maxwell’s, Einstein’s, Heisenberg’s and Schrödinger’s equations have as their mathematical core the differential equation, and nothing prevents a differential equation from turning around. That a stone jumps back out of the water, after being thrown in, is not only possible in a tik-tok montage, but also in reality. ‘It is only an accidental inability, for which we are not yet able to make such a skilful construction, as to cause the necessary state of vibration at the edge of a lake or the edge of a bowl of water, to be able to do it for real’. So confirms David Hilbert, inventor of the mathematical space in which physics has been observing and calculating quantum energies for more than a hundred years now, performing probable and improbable acrobatics as saltimbanques.

 

If physical reality does not prevent us from being able to reverse the arrow of time, nothing prevents Barbara Prenka’s solo exhibition at Galleria A plus A What time is it between my fingers, from evoking with her works those vibrations at the edges, those mathematical and physical limit conditions of the hands on embroidery, which, as suggested by Hilbert, could not only simply reverse the arrow of time, but in the case of art intertwine past, present and future in a new way — to make and unmake history and memories as if they were a bed. With the works on display, the artist creates an arrangement that connects past, present and future using handed down techniques, such as drawing and embroidery, but at the same time drawing inspiration in the shapes and colors from new social practices, from the possibility of a philosophy and a physics with new questions. The artist even seems to ask whether the present and the future do not have the power to change the past.

The interweaving of the exhibition transports the visitor to the childhood bed of a collective and shared Europe. The geolocation of this bed is Yugoslavia. To be more precise, it is in Kosovo, and the temporal coordinates are those of the artist’s birth in the year 1990. During the first war on European soil fought after the end of the Second World War, the doilies, embroidered bedspreads, drawings and parts of the trousseau made by the artist’s mother, and which adorned the bed of that childhood, now adorn the walls of the A plus A Gallery and will dialogue with all the artist’s works on display.

The series of 24 drawings Remind me who I am is part of the constellation of works on display, which focuses on the methodical repetition of the same image of a bed, each with small variations in color and its structure, as if the drawn object followed a mathematical wave function. This process of repetition and change becomes an opportunity for awakening. Each drawing captures an intimate space, a symbol of vulnerability and refuge, but also an allegory of transition and lucidity. By combining works that the artist has created over the past 5 years with objects from a childhood in Kosovo, the exhibition also shows traces of what was forcibly abandoned in the escape from a country at war. The various forms of violence, including the forced erasure of places and stories, are displayed as if they were inscribed in the very structure of the world.

Another project on display is Dite e re (Fingers and King). It is a photographic archive of a childhood spent in Kosovo that has been transformed into real embroidered carpets. In creating these embroideries, the artist involved the women of her family, her mother, grandmother and aunts, who still live in Kosovo. It is therefore the creation of a work of art, which has given the opportunity to actively share personal stories about the beginning of the war in Yugoslavia. The creation process involves manually inserting one thread at a time into a perforated fabric; an ancient traditional technique practiced by Kosovar women during the pre-marital period, when they created carpets called “Jani” as part of the dowry. These carpets and the other works on display, connect mental images, practices and memories, to a tradition passed down from generation to generation, thus transforming the entire exhibition into a journey through time. The works of art are compared with original objects from the 80s and 90s from the village in Kosovo where the artist grew up, and which have now been cited in the gallery as witnesses of history.

 

What time is it between my fingers, suggests a responsible action of physics and its technical applications and the use of its resources. The theme of the responsibility of science and physics is also the theme of the philosophy of Karen Barad, American by birth, who inspired in some central points the solo exhibition of Barbara Prenka. The practice and social theory of Barad weighs on the memory of the launching of the two atomic bombs on the cities of Hiroshima and Nagasaki, just like the works of Barbara Prenka weigh on a childhood bed during the war in Yugoslavia. The “temporal diffraction”, as Barad calls it, is a coexistence of past, present and future, which influence each other. The idea of ​​the exhibition What time is it between my fingers is to make the objects installed extend into each other just as the function of the quantum wave suggests. “Intra-action”, another concept of Barad, observes that phenomena or objects and human beings do not precede their interaction, do not have a real ontology pre-existing to their encounter, but rather objects like living beings emerge through particular “intra-actions”. Human beings, fauna and flora, as well as material entities or discursive entities do not exist separately and prior to their encounter, prior to their measuring and observing each other, and at best, prior to their learning from each other, but emerge only through their relationships and overlaps. As in embroidery, the threads take on meaning and form only in relation to the fabric and the design they create together.

[i] “Attaccare” means in italian both: “to attack” and “to attach”.